Vivere nel ricordo è il modo più compiuto di vita; il ricordo sazia più di tutta la realtà e ha una certezza che nessuna realtà possiede. Un fatto della vita che sia ricordato è già entrato nell’eternità e non ha più alcun interesse temporale.
Søren KIERKEGAARD
Situato a trenta chilometri dalla costa adriatica, Catignano è un piccolo paese in provincia di Pescara, di cui tracce del più antico insediamento risalgono al periodo Neolitico.
Citato da Tito Livio, Catignano, all’epoca Cutinia, è stato uno dei centri più forti del popolo dei Vestini. Completamente distrutto dall’esercito romano, intorno al IV secolo a.C., è tornato a essere attestato nelle fonti come Catenianum e Catigitanum, nel Medioevo.
Luogo di deportazione e di prigionia, meta e rifugio di briganti tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, terra baronale, Capoluogo del Circondario dell’allora provincia di Teramo, dal Medievo alla metà dell’Ottocento, Catignano ha avuto costantemente una grande rilevanza politica e sociale.
In questo piccolo paese dalle origini antiche, la committente ha deciso di acquistare parte di un Palazzetto Nobiliare.
Iniziato a costruire nel 1847 da un trisavolo della committente – dal nonno materno del nonno materno – il palazzo, su due livelli, è nato per ospitare, al piano terra, i magazzini per le derrate alimentari e, al primo piano, le camere da letto.
Negli anni, una parte del Palazzo e la relativa porzione di giardino sono state vendute e i magazzini sono stati collegati al primo piano attraverso una scala, per l’inserimento della quale è stata tagliata una delle quattro volte a crociera.
I magazzini del piano terra sono stati privati di accesso diretto al giardino e alla piccola rimessa e, al livello superiore, sono stati distribuiti: il disimpegno, la cucina, due stanze da letto e un bagno.
La richiesta della committente è stata riportare il palazzo al pregio architettonico originario e ottenere ambienti più funzionali alle proprie esigenze: la zona giorno al piano terra e la zona notte al primo piano, almeno un bagno al piano terra, un secondo bagno al primo piano e il bagno privato per la camera padronale.
Il Progetto Preliminare ha previsto l’allineamento del fronte che affaccia sul giardino e ampliamenti collegati mediante aperture nei muri portanti, per la distribuzione rispettivamente di cucina e bagno, al piano terra, e di due bagni, al primo piano.
Il Progetto Definitivo ha eliminato l’ampliamento e mantenuto inalterati i volumi, ricavando l’angolo cottura nella zona living e il secondo bagno nell’ampio vano di distribuzione, al primo piano.
Alla volontà della committente di riportare il Palazzetto all’origine, il Progetto ha risposto conferendo allo spazio un connotato che va oltre lo stile e il gusto e che, dall’intervento strutturale alla scelta degli arredi, ha reso a quel luogo una forte spiritualità.
Il Progetto ha previsto importanti lavori di consolidamento. Partendo dal piano terra, sono stati rinforzati: il solaio e gli ancoraggi alle pareti, mediante rete elettrosaldata e trave perimetrale in calcestruzzo armato; le ampie aperture, mediante inserimento di portali e architravi, realizzati con putrelle in ferro, e successivo riempimento con calcestruzzo; le volte, mediante svuotamento, rinforzo strutturale con nastri di fibra di carbonio e resine epossidiche, riempimento delle stesse con una miscela di argilla espansa o con cordoli e catene, ove necessari.
Le volte, consolidate e ripulite dall’intonaco, trattate con sabbiatura e lasciate interamente a vista, hanno reso agli interni quasi la sacralità di una cattedrale.
Il pavimento di ceramica lucida di mediocre fattura è stato interamente sostituito con pavimento di cotto rosato fatto a mano in Italia; le porte e le grate, ove possibile, sono state spostate e reimpiegate e, ove non disponibili, sono state realizzate, ricostruendo lo stile attraverso foto storiche d’archivio.
La spiritualità degli ambienti è amplificata da un’illuminazione artificiale particolarmente soffusa e scenografica, pensata per essere combinata con candele, molto amate dalla committente.
L’intero Palazzetto Nobiliare sembra essere stato trascinato fuori dal tempo e sospeso in un vivo intreccio di ricordi, in cui ogni elemento architettonico, ogni colore, ogni arredo tesse la trama di una storia che parte da lontano.
Nelle camere da letto, tutto è poesia e racconto: l’antico baule, l’armadio degli anni ’50, l’elegante preziosa coperta realizzata all’uncinetto. …I dipinti dei Seicento, le preziose trine incorniciate, le Madonne scolpite e garbatamente appese alle catene strutturali.
Memoria e ricordi, fin nei più piccoli dettagli, nella carrozzina delle bambole con cui la committente giocava da bambina, esposta sotto i propri autoritratti.
…E nelle otto maioliche, acquistate a Cordoba, delle quali racconta con fierezza e tenerezza di averle prese per le origini della famiglia della madre, i de Flammineis, che fino al Milleseicento si trovava a Saragozza, finché un suo avo, un dignitario, venne a Milano con un Viceré spagnolo e si innamorò della Baronessa De Petris… e dell’Italia.
In ogni mattone lasciato a vista sulla facciata del giardino, in ogni arbusto, riprodotto per talea dalle piante delle altre case di famiglia, in ogni utensile da giardino, ammaccato, arrugginito, tramandato da generazioni, è il racconto della storia e quasi si odono le voci delle persone cui è appartenuta.
[…] Il ricordo sazia più di tutta la realtà, e ha una certezza che nessuna realtà possiede.
R.B. – Lei vive tra Roma, Rimini e Capalbio, perché ha scelto di investire nell’acquisto e nella ristrutturazione di un Palazzetto a Catignano?
P.F. – Mah, se devo dire la verità, è perché volevo un posto in cui esporre tutti i miei giocattoli e sovraccoperte che mi piacevano tanto. …E la realtà è stata completamente diversa: le due sovraccoperte le ho esposte anche se sono macchiate di ruggine, quindi “anticotte”, e le mie bambole e i miei giocattoli sono ancora riposti nella cassa, perché non ancora trovato lo spazio dove metterli.
…Ma, fondamentalmente, anche perché volevo stare vicino ancora a qualche cosa dei miei genitori. Ai loro corpi che sono qui, a Catignano.
R.B. – In relazione al luogo e al Progetto, cosa rappresenta per Lei questa dimora? …E cosa ha di diverso o in più delle altre?
P.F. – Questa è una bella domanda. Questa casa l’ho creata non come seconda casa, in effetti, è una seconda o una terza casa, ma l’ho creata come una casa vera. Piena. Infatti, mi accorgo già che è diventata troppo piena, troppo carica, come una casa normale. L’ho creata perché doveva essere il contenitore di tutti i miei ricordi. Miei personali ma anche della mia famiglia.
Quindi ci sono i mobili, ad esempio, quello è della bisnonna, quello è del bisnonno, quello è del prozio, quello è del cugino, quello me lo ha dato tizio, quello me lo ha dato caio… Sono tutti oggetti che hanno, per me, ovviamente, una storia e che anche da sola, quando li ricordo, posso passare giornate intere.
Quindi è una casa…il memoriale? …Non oso dire il Vittoriale, non posso, ma amo dire il memoriale. Del resto, la costruzione era una casa che aveva realizzato il mio trisavolo e, di conseguenza, anche se queste erano le stanze dei depositi, delle dispense, e, in realtà, non hanno abitato esattamente qui, ma hanno abitato nel palazzo adiacente, c’è sempre questo legame. Questa casa è stata costruita dal mio trisavolo, questo per me è importantissimo.
R.B. – Lei ha voluto che il Progetto avesse un rispetto estremo delle origini di questo edificio, dai materiali scelti agli arredi antichi o tramandati dalla Sua famiglia, tutto in questo Palazzetto racconta una storia. Quali sono i ricordi più belli che questo luogo Le richiama alla memoria?
P.F. – Io proprio ricordi personali, a Catignano, non ne ho tanti, perché, essendo vissuta sempre fra l’Alto Adige e la Romagna e, adesso, il Lazio, qui, purtroppo, sono venuta sempre per andarli a trovare nell’ultima dimora.
Ricordo che, quando avevo quattro anni e vivevo nell’altro palazzo, vedevo i contadini arrivare, sfilando con queste bellissime ceste sulla testa, perché una volta si usava portare i cesti sulla testa, sopra un tovagliolo arrotolato, con questo incedere elegante. …E portavano tutti il granturco, portavano i peperoni. …Quindi il profumo dei peperoni, lo associo a questo paese e mi piace. …E, ogni volta che lo sento, riconosco se è vero, autentico, originale, biologico, perché mi ricorda l’odore che sentivo da bambina qui a Catignano.
Quindi, forse, ho dei ricordi della vita passata, del Risorgimento, ricordi di mia madre da bambina, più che miei personali. …però, mi fa piacere perché sono i ricordi della mia famiglia.
Rivivo, forse, i tempi andati che ormai più nessuno ricorda.
R.B. – Ogni ambiente è completato da dettagli che denotano molta cura. C’è una grande armonia. Se Le chiedessi, secondo Lei, che atmosfera ha questo luogo, come la descriverebbe?
P.F. – Mi piacerebbe che si dicesse che ho amato mantenere l’originale, a tutti i costi. Che non ho voluto assolutamente cambiare una fisionomia propria del Palazzo. …E mi piacerebbe, con quello che ho messo dentro, dare un senso di tranquillità, di pace. …Pace è una parola troppo grossa, però di tranquillità di rilassatezza, di buona compagnia, anche, forse, di silenzio. Qualcosa, forse, che evoca il contrario dello stress della vita di una città. Ecco, mi piacerebbe lasciare a chi viene questa sensazione.
R.B. – Ho notato che in ogni stanza c’è un richiamo alla vita cristiana…
P.F. – Sono credente e praticante. Quindi, ci tengo che la mia casa sia l’espressione e la testimonianza di questa mia fede. Per cui, in tutte le stanze, io ho simboli cristiani.
In questa stanza, per esempio c’è il rosario, di là c’è un crocifisso, c’è il Vangelo.
In ogni camera da letto, poi, non ne parliamo, ci sono due o tre stampe e quadri a soggetto sacro e in tutte c’è il rosario.
Tra l’altro, questa mia fede io credo di averla espressa con il bassorilievo della Madonna che ho fatto posare sulla facciata. …E che a suo tempo è stato benedetto con questa frase: “Sia benedetto chiunque passa attraverso questa porta”.
R.B. – Cosa porta con sé di questo luogo, ogni volta che se ne allontana?
P.F. – Ogni volta vado via, perché devo andare, perché ho programmato altri impegni. …Ma ogni volta lo faccio veramente con dispiacere, perché mi abituo a questa tranquillità, a questo silenzio, a questi profumi.
…Mi pace stare qui perché ho costruito la casa come volevo io e quindi mi piace stare in questo luogo.
Vado via ogni volta con dispiacere e, ogni volta, che sono fuori ricordo: “Eh, ma, lì, io mangiavo la mia insalata… Ah, però, lì, a quest’ora, facevo un po’ di giardinaggio…” e c’è sempre questa malinconia. …E anche, oltretutto, dei panorami, la malinconia del Gran Sasso, della Maiella…
Quindi, nostalgia. Provo nostalgia. Cosa che non provo negli altri posti.
R.B. – Come ricorda la fase Progettuale?
P.F. – Io sono stata seguita da una Progettista che, devo dire la verità, mi ha aiutata molto.
Volevo intervenire su questo Palazzetto e questo era un problema che non potevo risolvere da sola, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse.
La Progettista mi ha dato dei consigli ottimi, scegliendo adeguatamente i materiali, con fare fermo e determinato. Io volevo vagamente il cotto, perché penso che in una casa di campagna sia più indicato il cotto, quindi ha scelto questo cotto meraviglioso, rosato, fatto a mano, siciliano, italiano, perché io ci tengo che le cose siano tutte italiane, sono autarchica in questo.
Ha scelto dei sanitari, che rivisitano un disegno un po’ antico, ma che sono anche estremamente funzionali e comodi. Belli, belli da vedere. …e per me questo è importante. L’occhio deve riposare, deve trovare in tutto armonia, linee morbide.
Ha deciso quali aperture ripristinare, come distribuire gli ambienti, se salvare un intonaco oppure non salvare, perché in questo caso, sono state rinvenute delle volte splendide. E devo ringraziarla molto. Mi ha aiutata anche nella parte burocratica, che era quella che mi terrorizzava. Ha impostato tutto il lavoro e le sono grata.
R.B. – Un commento libero?
P.F. – Se mi aiuta ancora questo Architetto, sono pronta per altre avventure!
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Grazie mille! 🙂