di Nicola AUCIELLO
Le cose di questo mondo sono caratterizzate oltre che dalla forma anche dal colore, anche Empedocle lo affermava.
L’eloquenza di un muro, di uno spazio, può essere raccontata tramite cromie atte a restituirne nuova lettura. L’utilizzo del colore in architettura non è così distante dal gesto su una tela, la differenza è nella percorribilità fisica e percettiva dello spazio, nella scomposizione fisica dei volumi attraverso il colore e i suoi chiaroscuri: è un elemento variabile, quasi elastico, che irrompe nello spazio per comprimerlo, ampliarlo, sottolinearlo, sovrascriverlo al fine di colmare il vuoto di progetto.
Colore, dunque, come materia e forza percettiva di attrazione e benessere: colore come pathos.
Questo modo d’uso modifica il corpo di un volume, trasformandolo e interrompendo la sua unità geometrica in modo da dar vita alla forma e alla sua possibilità di essere abitata. Più semplicemente il colore può essere interpretato come una sorta di correzione (dal latino cum-rigere = guidare dirittamente, governare) degli spazi.
Aumenta o riduce le distanze, influenza la scala delle costruzioni, in questo senso interviene sulle dimensioni. Differenti colori su uno stesso volume generano luoghi specifici diversi, offrendo anche una identificazione maggiore a chi li abita. Il colore come luce: il colore è luce.
Goethe era convinto che tutti i colori fossero contenuti nella luce e scrive: …attorno al davanzale della finestra tutti i colori brillavano! È interessante e straordinaria la maniera in cui Goethe descrive i colori associandoli ad azioni e passioni della luce.
Colori che riflettono l’esperienza di un sentimento di un pathos, visti da dentro: stabili, transitori e a volte fugaci.