di Teresa VILLANI
Non è facile circoscrivere l’ambito della progettazione inclusiva al solo progetto di architettura.
Si tratta di un approccio orientato, in maniera più ampia, all’attenzione verso le diversità umane, l’inclusione sociale, l’uguaglianza.
Tale attenzione si concretizza nella costruzione – anche attraverso processi partecipativi – di ambienti, sistemi, prodotti e servizi fruibili in modo autonomo da parte di persone con esigenze e abilità diversificate.
Per trasferire il concetto generale all’architettura, possiamo sostenere che le diversità umane che a vario titolo ci caratterizzano (cultura, background, abitudini, abilità, età, aspirazioni, ecc.) devono essere introdotte nel processo progettuale, sin dalle fasi del progetto di fattibilità tecnica ed economica (Nuovo codice dei contratti pubblici).
Nel processo di trasformazione dell’ambiente che ogni progetto genera, diventa prioritario l’impegno di attuare un continuo adattamento persona-ambiente.
Agendo sulla configurazione ‘fisica’ degli spazi, a parità di condizioni individuali, più l’ambiente sarà ideato seguendo un approccio User Centered Design, maggiore sarà la capacità della persona di autorganizzare le proprie attività e aspirazioni e di partecipare alla vita collettiva.
Inoltre, uno spazio, frutto di un progetto consapevole, può essere più attrattivo, confortevole, comunicativo, sicuro nell’uso, producendo riflessi positivi anche sullo sviluppo sociale ed economico di un territorio.
Esistono differenti approcci riguardanti la progettazione di spazi, ambienti, oggetti d’uso destinati a soddisfare utenze diverse; differenti prassi per fornire architetture di qualità, inclusive e anche di piacevole aspetto.
Tra questi occorre citare l’Universal Design, (Mace R.L., 1985) secondo cui i prodotti e gli ambienti dovrebbero poter essere usati dalla più ampia pluralità di soggetti, diversi fra loro per età, capacità percettive, motorie e cognitive, senza bisogno di adattamenti specifici.
È interessante evidenziare come questa definizione sia stata esattamente ripresa nella Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili (UN, 2006, art. 2).
La pratica di questo approccio alla progettazione, sebbene il più indicato e ragionevole, non è sempre semplice.
Soluzioni progettuali inclusive richiedono:
Sebbene difficile, gli esiti premiano perché non riguardano elusivamente il soddisfacimento dell’utente finale, ma innescano un processo virtuoso i cui benefici includono gli utenti, l’industria e la società; un processo che racchiude in sé i caratteri dell’innovazione, mettendo in campo soluzioni poco impattanti dal punto di vista economico e, con i dovuti adattamenti, trasferibili in altri contesti.